domenica 14 giugno 2020

Recensione La Vita Ostile: Dice un poeta arabo: “la felicità non è una meta da raggiungere, ma una casa in cui tornare; non è davanti ma dietro; tornare non andare.” di Raffaele Mutalipassi





 






Dettagli prodotto
·  Copertina flessibile: 205 pagine
·  Editore: Independently published (24 marzo 2020)
·  Lingua: Italiano
·  ISBN-13: 979-8626541441 

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SINOSSI 

La storia di una vita vissuta senza un attimo di tregua dalla metà del secolo scorso fino ai giorni nostri. Le vicissitudini del protagonista che da un piccolissimo paese del Cilento giunge a Roma con la propria famiglia nel pieno del boom economico degli anni Sessanta e che da lì parte per una grande avventura che lo porterà a lavorare come ingegnere in molti paesi in via di sviluppo.

Sulla soglia dei settanta anni, Raffaele ci porta con sé in un lungo viaggio a ritroso attraverso la rigorosa cronaca della propria esistenza. L’infanzia, i sogni di gioventù, la spensieratezza e il disagio giovanile, la disillusione, la disperazione, la paura, il coraggio dell’incoscienza, la libertà, la fuga continua, la solitudine, il distacco della vecchiaia e, infine, l’immenso dolore per la perdita del fratello minore. L’amore struggente per l’Italia e l’odio viscerale per gli italiani.

Un viaggio che rappresenta lo specchio di una generazione unica che a poco a poco sta scomparendo. La prima generazione cresciuta con la televisione che è stata artefice della più grande rivoluzione giovanile della storia dell’umanità con tutti gli stravolgimenti politici, culturali e sociali che ne sono conseguiti e che è stata poi protagonista della globalizzazione e dell’era digitale. E che infine è stata messa alla prova dalla più grande minaccia collettiva che il destino potesse riservarci in quanto la più esposta e la più colpita al tempo della prima pandemia globale della storia. Un momento, questo, che non ha eguali nella storia dell’umanità.

RECENSIONE 

Una vita, un viaggio. E quella dell’autore è proprio il viaggio di una biografia dettagliata fra gioie e dolori, un excursus fra periodi politici davvero differenti tra loro, stravolgimenti culturali e cambiamenti sociali. L’autore ha saputo raccontarsi e aprirsi al cuore dei lettori facendosi divorare dalla disperata sofferenza, con cui rivive tutta la sua vita fino al presente. E alcune volte raccontarsi in un libro trasforma l’autore in testimonianza umana, a volte diventa anche terapeutico per lo scrittore stesso e per chi lo legge, perché l’anima dei lettori può rassomigliarsi al bello e al brutto della vita altrui. Sì, una vita che può essere un denominatore comune e divenire profondo insegnamento per l’umanità stessa. Una copertina partorita da un disegno di Valeria, la figlia dell’autore, colorata e vivace con due occhi grandi come il mondo e il sole e la luna che fanno comprendere quanto nella vita la luce non possa esistere senza il buio e viceversa. 

E poi cosa mi ha colpito veramente oltre a tutto è l’aforisma che lo scrittore inserisce nel titolo. La frase è di un poeta arabo: “la felicità non è una meta da raggiungere, ma una casa in cui tornare; non è davanti ma dietro; tornare non andare.” È molto profondo perché dal titolo La vita ostile l’autore estrapola la filosofia di sfatare il mito della cosiddetta felicità vissuta come obiettivo da raggiungere, perché la felicità, a volte se non sempre, è il luogo dove far ritorno. Spesso è ciò che abbiamo già, ma che non vediamo forse per troppa superficialità. Un passato dove tornare, e non come di solito si crede, un futuro da raggiungere. 

Un romanzo senza un attimo di respiro, perché racconta come un treno in corsa la vita vissuta dello scrittore. Una fascia temporale che va dalla metà del secolo scorso fino ai nostri giorni. Mutalipassi inizia a narrare le sue vicissitudini da quand’era ragazzino. Si parte da una piccola frazione del Cilento, un paesino quasi dimenticato dal tempo e dalle evoluzioni sociali. Raffaele lascia il suo paesino natio per andare a Roma e cercare insieme alla sua famiglia una situazione economica migliore, proprio nel periodo del boom economico degli anni Sessanta. E lì qualcosa inizia a muoversi in positivo, nonostante la vita del protagonista-scrittore sia sempre completamente travagliata. 

Ed ecco che proprio quando si arriva al pensionamento e all’età più matura si ha la voglia di tirare le somme per accorgersi che in fondo nonostante sofferenze e dolori, la vita regala anche tanto. I sacrifici non sono tutti inutili alla fin fine.
Il racconto vitale di Mutalipassi si anima anche di ricordi su figure familiari come quelle del nonno che vince la battaglia del grano nella provincia di Salerno e un altro nonno emigrato in America, che alla fine sarà l’unico degli otto fratelli a far ritorno e a morire nel suo amato paese d’origine. Raffaele poi si sofferma sul matrimonio combinato dei genitori (all’epoca erano in voga) e per questo lui soffrirà un’infanzia davvero tormentata e infelice, perché il padre e la madre non faranno altro che litigare e poi successivamente si separeranno definitivamente. Giunge poi un’adolescenza difficile, dove vivrà il sogno di diventare calciatore professionista. Un sogno sfumato in un’altra ben diversa professione, che però ha esorcizzato la rinuncia all’agognato sogno, facendolo diventare un ingegnere ben stimato e apprezzato.

Un curriculum di tutto rispetto, che ha lavorato in più di 40 paesi in via di sviluppo nel settore della cooperazione internazionale.
Ma andiamo a vedere come si danno il cambio nei capitoli le tante sfere temporali diverse. Una storia che ripercorre gli ultimi 70 anni. Dall’alluvione del 1954 a Salerno; l’infanzia degli anni Cinquanta con l’avvento della televisione in Italia; l’adolescenza travagliata dello scrittore all’inizio degli anni Sessanta nelle periferie romane, così come descritte da Pasolini e durante la quale in terza media fu espulso dalla scuola. Successivamente mentre scoppiava la rivoluzione giovanile del 1968 Raffaele studiava da privatista per prendere la licenza media e due anni dopo nel 1970, sempre da privatista, consegue il diploma di geometra. Poi il periodo del terrorismo degli anni Settanta durante il quale studiando e lavorando conseguì la laurea in ingegneria. Dopodiché, le sue missioni di lavoro degli anni Ottanta nei paesi dell’Africa nera più profonda ed il lavoro in America Latina degli anni Novanta. Fino ad arrivare agli anni Duemila, durante i quali è stato consulente in nome e per conto dell’UE in molti progetti di ingegneria idraulica.

E la vita di Mutalipassi sarà sempre mossa dalla passione per il calcio, perché a scandire il racconto vi sono i campionati mondiali di calcio dal 1958 al 2018 ricordando gli alti e bassi conseguiti dalla nazionale italiana.
Ma cosa c’è di più profondo in questo libro è l’amore-odio che il protagonista-scrittore nutre per l’Italia e gli italiani. Lui lo definisce un odio viscerale, anche se l’Italia la ama perché è bella “fisicamente”, ma non “dentro”. Tanto che Raffaele alla fine degli anni Settanta lascia per sempre l’Italia, un paese che secondo lui tradisce il proprio passato e i propri figli. Già, perché gli italiani si sono dimenticati di lui e Raffaele vuole dimenticarsi di loro.
Ma Mutalipassi serba in sé anche la convinzione che l’Italia è un’opera d’arte vivente. Un paese che potrebbe vivere della luce della sua arte e della sua cultura, e gli italiani stessi dovrebbero valorizzare e preservare tutto questo. Se fosse così, non ci sarebbe nemmeno la crisi, ma un benestare perenne.
E lo scrittore racconta sé stesso e l’amore per una generazione unica, quella del suo periodo, quella dei suoi anni. La particolarità di una generazione che non si ripeterà mai più. Una generazione, che attraverso il suo vortice di rivoluzioni che hanno portato a stravolgimenti e cambiamenti politici, culturali e sociali, è giunta all’era della globalizzazione e della digitalizzazione. Un’era, sì, avanzata, ma che alla fine ci ha portato ad una realtà nociva e veramente letale per la nostra salute. Ed ecco che l’autore giunge fino ai giorni nostri, quelli della pandemia, dicendo che quest’era moderna ha creato una generazione fatta di paura, a causa di questo insormontabile flagello. 

E poi il racconto autobiografico non può che propendere verso il cuore dello scrittore, un cuore di padre. L’amore per la figlia ventenne vissuta da sempre lontano dal paese natio del padre, ovvero l’Italia. E questo permetterà alla giovane ragazza di riflettere sui racconti di vita del genitore, su cosa l’Italia dona e toglie. E questo libro è proprio un monito per i giovani di oggi, come lei, che devono intraprendere e affrontare la propria vita, sapendo le cose del mondo e imparando da quelle del passato per costruire un presente e un futuro migliori.
Ed è bello concludere la lettura trovando lo scrittore-protagonista soddisfatto, perché afferma che la sua vita in fondo è stata tormentata, ma bella e fortunata per certi versi. Un autore che denuda sé stesso definendosi vigliacco ed eroe al contempo e contando soprattutto quei giorni diversi che colleziona la vita, perché quelli uguali non si contano né si misurano (come diceva il filosofo Luciano De Crescenzo). Ma a risolvere infine l’analisi introspettiva di Mutalipassi sono i sentimenti: è l’amore, l’unica ricetta per allineare e far viaggiare su binari paralleli l’età anagrafica e gli anni dell’anima.   

FRANCESCA GHIRIBELLI



***L’AUTORE



Raffaele Mutalipassi nasce a Perdifumo in provincia di Salerno nel 1951. Subito dopo la sua famiglia si sposta a Salerno. Nel 1954 si ritrova a Valmontone (RM) da dove, nel 1962, si trasferisce a Roma. Qui trascorre un’adolescenza travagliata. Dopo aver abbandonato la scuola dell’obbligo, solo a diciotto anni consegue la licenza media. A venti si diploma geometra da privatista. A venticinque lavora come operaio in una filatura di Prato. Nel 1979 si laurea ingegnere.
Nel 1981 effettua la sua prima missione di lavoro in Somalia. Dopodiché accumula quasi quaranta anni di esperienza nella gestione, coordinazione e valutazione di programmi e progetti di cooperazione internazionale finanziati soprattutto dall’Unione Europea. Dal 2018 è pensionato residente in Bolivia, paese dove è nata la sua unica figlia.


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