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SINOSSI LIBRO
Cronaca e opinioni riguardo la
società italiana ai tempi del Corona Virus
RECENSIONE
Ed ecco che
il mondo si ferma. Coronavirus. Si tratta proprio del “re” dei virus. Il dolore
si fa pelle sul volto della gente. Non c’è più rumore fuori. Esiste soltanto il
rumore assordante del silenzio. Un silenzio, quello del deserto delle città,
dei paesi, delle strade… e sembra persino che il ticchettio degli orologi che
scandiscono il tempo voglia fermarsi come simbolo di nobile rispetto a chi
soffre senza fine. Già, perché Coronavirus è sofferenza, disperazione. Un
invisibile nemico che si annida ad ogni angolo: sulla superficie di un oggetto,
nell’aria che respiriamo, ma soprattutto si nasconde nelle cose più belle…
negli abbracci, nelle carezze, nei baci, nei respiri che vicini si scaldano per
tenersi compagnia, ma che potrebbero portare alla fine dei nostri giorni.
E dopo
lotte, battaglie, rivoluzioni, guerre mondiali, la povertà nel mondo, lo
scioglimento dei ghiacciai, la scomparsa di intere città, l’inquinamento
universale… Ecco che il 2020, un anno che tutti speravano avrebbe portato
qualcosa di buono, sembra essersi dimostrato l’anno della resa dei conti,
l’anno dell’Apocalisse, l’anno della morte!
Già, perché
se accendiamo la televisione, ascoltiamo la radio o viaggiamo su internet il
mondo piange… dalla Cina, passando per l’America, Germania, Londra e tutte le
altre nazioni fino a giungere all’Italia, diventata ormai focolaio del virus.
Ed ecco che tutto l’universo appare come un film di fantascienza che prima
potevamo smettere di guardare spegnendo la televisione, ma che ora viviamo come
una cruda e spietata realtà.
Uffici
bloccati, titolari di attività commerciali che “massacrati” dalla crisi che
incombe, devono persino chiudere per non rischiare di fomentare l’onda del
contagio. Le regole da seguire sono ferree, ma tutto il mondo ha come sola via
di scampo un rigoroso isolamento. Un metro di distanza l’uno dall’altra, non
uscire di casa se non per estrema necessità o urgenza (spesa, motivi di salute
e lavoro). E anche se non usciamo, dobbiamo mantenere le dovute distante anche
tra i familiari stretti all’interno delle abitazioni. E che grande dolore
rappresenta per le mamme, i papà e i nonni non poter coccolare figli e nipoti.
Ma la
preoccupazione di portare contagio rafforza la convinzione di questa imposta
distanza. Gel, disinfettanti, guanti, mascherine, amuchina, alcool con prezzi
saliti alle stelle diventano così il “pane” dei nostri giorni. E quando di
notte cerchi di addormentarti (che è veramente dura vista l’angoscia che
trasuda dal mondo) non continui altro che a fare incubi pieni di devastante
morte travestita non più con la falce, ma con mascherina e guanti.
E poi però
esiste anche il portatore asintomatico, il cosiddetto portatore sano che alla
fine potrebbe essere il nemico più silenzioso e fatale… potrebbe giungere dalle
persone più anziane affette da gravi patologie, che a causa del tremendo virus
che attacca le vie respiratorie, rischierebbero di non cavarci le gambe.
Un mondo che
si ferma, dove alle fine si fa ritorno a un modo di vivere quasi arcaico.
Vivere in casa come una volta. Riscoprire il vero senso della famiglia, quando
invece per troppa fretta non ci siamo accorti di quanto fosse veramente lungo
un giorno. E in un universo che lotta dalla mattina alla sera, si fa colazione,
si pranza e si cena a dovuta distanza e poi per fugare la disperazione
dell’attesa (pregando che alla fine vada tutto bene), ci si affaccia alla
finestra o al balcone e si inizia a cantare a squarciagola. C’è anche chi suona
uno strumento, chi fa ballare i bambini, chi saluta con la mano, chi scopre per
la prima volta il nome o il volto del vicino di casa, chi manda baci nel vento
come se viaggiassero sulle ali della speranza… quella speranza che alla fine
quando tutto finalmente finirà potremo riabbracciarci e amarci più di prima.
E in tutto
questo supplizio, mentre la gente aspetta semplicemente seduta sul divano che
la “terza guerra mondiale” possa concludersi a lieto fine, dall’altra parte c’è
chi lavora sodo giorno e notte!
I medici,
gli infermieri e tutto il personale sanitario mondiale ci mette la faccia
munito di mascherine, divise da lavoro e guanti… mentre il loro sudore si
mescola alle lacrime della rabbia, della paura e della disperazione di non
poter salvare tutte quelle vite e quando l’ennesimo respiro si spegne, per loro
è una grave sconfitta che peserà in eterno come un macigno fra anima e cuore.
E lo strazio
continua se clicchiamo sul telecomando della televisione o sullo schermo di un
computer: vediamo bambini con le mascherine (ma purtroppo non è carnevale),
anziani, giovani e persone di mezza età attendere fuori dai supermercati in
attesa del loro turno per entrare a comprare gli alimenti per sopravvivere e
sconfiggere più forti il nemico.
E così vale
anche per le farmacie, le panetterie o qualsiasi altro negozio che vende beni
di prima necessità. Possono entrare soltanto una o due persone a turno. Niente
sovraffollamento. Il sovraffollamento significa morte. E quella morte che ci fa
da vicina di casa ci deve trovare vivi e sempre più coraggiosi.
Già, grazie
ai messaggi mandati in onda alla televisione e pubblicati su internet tramite
foto di cartelloni e bandiere con su il tricolore italiano e tanti arcobaleni
di pace e speranza. Un arcobaleno persino sul pannolino di un bambino appena
nato.
Perché
l’Italia ha superato tante tempeste, e deve superare anche questa, che è forse
una tra le più grandi in assoluto. E così l’Italia e il mondo si uniscono
attraverso il web con l’hashtag #iorestoacasa e #andràtuttobene, perché in fondo la fiducia nella
speranza è la vera poesia della vita.
E perché
anche tu lo stesso ragazzo di periferia (ma di fronte al grande nemico non sei
niente nemmeno tu) che scrivi questo “racconto” di vita attuale ti sei
ritrovato a vivere e a narrare l’odissea di un dolore fatto di cifre che ogni
giorno salgono vertiginosamente a partire da tutto il mondo per giungere
all’Italia. Numeri che non fanno altro che rappresentare perdite di vite. Sì,
vite in pericolo, vite che se ne vanno, sembrano solo numeri in continuo
aggiornamento nella frenetica voglia di pubblicare e informare, mentre invece
se ti soffermi a pensare davvero a cosa vuol dire fare il giornalista in una catastrofe
umana come questa, allora daresti ragione al cuore e non alla penna.
Spegneresti
il computer e il cellulare, e ti affacceresti alla finestra per gridare al
cielo tutto il dolore che hai dentro! Sì, ti affacci e gridi con tutto te
stesso, ma poi alla fine la tua umile missione è tornare alla scrivania e
riprendere a scrivere i tragici dati di una pandemia senza fine. E scrivendo ti
senti così piccolo di fronte a tutti quei medici e infermieri che rischiano la
vita per continuare a far respirare il mondo di speranza.
Così, tu,
scribacchino, non puoi far altro che macchiare ancora una volta la carta con il
sangue del delitto di un folle e miserabile assassino chiamato Coronavirus e
adesso mentre i dati sono iniziati a scendere un sospiro di sollievo vola per
diventare un sorriso a fior di labbra.
Tu, ragazzo
italiano di periferia hai stilato un vero diario di bordo momento dopo momento
per lasciare testimonianza scritta di questo periodo buio e tragico a livello
mondiale.
Dal primo
contagio, alle emozioni, alle lacrime, ai sospiri di sollievo, alle
riflessioni, ai sorrisi di incoraggiamento, alle restrizioni dei decreti
governativi fino alla gestione dell’emergenza. Tutto rivissuto in poche ma
intense pagine di un racconto chiamato piaga e dolore, ma che corre repentino
tra i binari della vita cercando di sconfiggere la morte.
Francesca Ghiribelli
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