lunedì 13 giugno 2022

RECENSIONE CANTI CREPUSCOLARI DI FRANCO SIGNORINI

 


 

 

 

TRAMA

 

La poesia nasce per un bisogno intimo di celebrare, di cantare costruendo un’architettura di parole nei più vari registri, dai più intimistici e introspettivi ai più altisonanti. Signorini con la sua produzione in versi esplora in profondità i meandri della memoria e degli istanti irripetibili che, in essa, si sono sedimentati. Sono i suoi momenti di essere, il dispiegarsi della sua vita; suscettibili tuttavia di diventare, come accade in tutta la grande scrittura e nella grande poesia, i momenti di essere di tutti noi. Il tempo della scrittura è unico: è un tempo vissuto, fatto di istanti unici e dalla durata soggettiva, dove un anno può essere incredibilmente breve e un minuto angosciosamente o miracolosamente lungo; è un tempo colmo di segmenti più o meno remoti ma pronti a riaffiorare, nel bene o nel male, per un’intuizione fulminea o per un’imprevista associazione sensoriale. Il linguaggio è pregnante, essenziale, non tende all’effetto ma alla sostanza del pensiero e delle immagini, alla rilevanza di ogni singola parola: scelta e pesata, meditata, osservata.

 

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RECENSIONE

 

L’autore sa il fatto suo, perché riprende come ispirazione il periodo crepuscolare poetico, dove fra i più famosi ricordiamo Govoni e Gozzano. Lo scrittore Signorini cristallizza il crepuscolarismo inserendolo nel titolo, ma rende questo ambito letterario tutto suo, senza imitare il filone più noto di questa corrente italiana. L’autore ha uno stile poetico prosastico che fa discendere nella poesia in versi il senso di un racconto di vita, di esistenza, di mistero, di domande inerenti al nostro io più nascosto, proprio come troviamo in una Mattinata obsoleta; poi però incontriamo anche Barlumi di luce, quasi un inno o un invito al poeta che scrive e quindi anche lui stesso intinge la sua ispirazione, in un certo senso, di amarezza, ma anche di un messaggio di speranza, cioè facendosi cullare da un nulla pieno d’infinito. Poi fotografa anche L’attimo che fugge quasi consigliando al lettore di rendersi conto della frenesia della vita e di prestare più attenzione agli attimi preziosi che corrono e che andrebbero quasi inseguiti per poterne godere. Un messaggio forte è in Natura violata, dove il poeta si fa Cupido di solidarietà verso il pianeta e Madre Natura. Chi ferisce la terra, ferisce sé stesso e la sua stessa madre. Un messaggio denso anche di una forma di panismo dannunziano che ci ricorda La pioggia nel pineto. L’uomo che diventa la natura stessa, immedesimandosi in essa e viceversa. L’autore quindi riprende non solo il crepuscolarismo che è postdannunziano, ma anche una sorta di poetica precedente unendo tematiche forti e valide a livello poetico-esistenziale. I suoi sono veri e propri canti e autentiche odi al paesaggio che ci circonda tramutando il tutto in un appello o una sorta di monologo alla vita, in cui il poeta fa e si fa domande tra le braccia del crepuscolo. Un canto crepuscolare che soppesa ogni verso nel suo peso umano o nella sua voglia di leggerezza usando la poesia come esorcizzazione del presente, del passato e del futuro estrapolando anche l’ultima briciola di fiducia per andare avanti.

 

 

 

FRANCESCA GHIRIBELLI

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