Tre bottoni d’oro
Era una mattina di fresca primavera, mentre il cielo timidamente assolato si affacciava alla vita, dove la guerra, non ancora esausta, macinava le sue colpe senza sosta.
Tutto avrebbe potuto essere meraviglioso nel nascere di quella stagione, ma la violenza e gli stupidi ideali di una dittatura erano ancora presenti, come tanti soldatini accampati nelle povere anime di quel presente, quasi senza speranza.
Ero lì a passeggiare e a riflettere nell’umido chiostro del mio nascondiglio; da giorni o forse settimane mi trovavo lì senza mai far morire il desiderio, che quella guerra potesse aver fine e che me ne tornassi sana e salva in qualche angolo di mondo, dove poter vivere senza l’angoscia di dover sopravvivere.
Quante volte mi sono chiesta come avevo potuto arrivare fino lì; certamente mi avevano seguito, scoperto, tradito, ma fino a quel momento ero sempre riuscita a compiere in tempo la prima mossa come un agile topolino, che fugge dalle grinfie di uno scaltro felino.
C’erano state persone a me molto care, che avevano lottato per difendere la mia dignità e la mia origine, ma ciò che più mi addolorava era il fatto, che loro non ci fossero più a causa mia: per il mio bene erano riusciti a proteggermi, cedendo in cambio la loro meravigliosa vita, ripetendomi sempre che l’amicizia e l’affetto erano le cose più importanti, le quali la guerra ancora non era riuscita ad annientare. Già, anch’io li penso spesso e continuerò ad esser grata a loro per la vita intera, pregando che da lassù possano ancora in qualche modo vegliare e proteggere sulla mia incolumità.
Adesso mi trovavo lì, nell’accogliente chiostro della piccola chiesetta di un paese arroccato sulla montagna; nessuno sapeva veramente chi fossi, l’unica a cui avevo rivelato le mie vere origini era una giovane novizia che mi aveva aiutato a trovare rifugio in quella umile casa di Dio. Sì, ero rimasta sola al mondo, dopo aver perso i miei genitori italiani,adottivi che avevano perso la vita per amare una giovane ragazza ebrea, come me, anche se la mia origine non era totalmente semitica, perché mia madre era un’italiana pura. Avevo perso la mia famiglia da piccolissima e subito dopo venni adottata da quelle magnifiche persone, che mi avevano curato e amato fino a qualche mese prima, finché non era sopraggiunta la tragedia. Una spiata arrivata sicuramente da conoscenti aveva fatto sopraggiungere la polizia fascista, che dopo un crudele interrogatorio, a cui entrambi i coniugi si erano rifiutati, era riuscita in poco tempo ad uccidere le uniche persone, che mi erano rimaste al mondo davanti agli occhi. Non fui fortunatamente ritrovata nel nascondiglio della mia cara casa, in cui fin da piccola giocando a nascondino, mi rifugiavo senza farmi riuscire a trovare. Ed anche quella volta, anche se ero molto più grande, quel metodo era stato ancora efficace.
Adesso, però passavo le mie giornate immerse nel dolore e nell’angoscia più completa, pensando a ciò che avevo dovuto malvolentieri lasciarmi alle spalle, a come avessi potuto ancora riuscire a nascondermi e soprattutto a cosa in futuro ne sarebbe stato di me.
Quella mattina mi tornava alla mente la cara atmosfera della mia casa, l’unica e vera casa, che avevo avuto in vita mia e le dolci premure che i miei defunti protetti, mi avevano sempre regalato con amore. Per loro non esisteva la diversità, ma soltanto il forte legame che due ‘razze’ differenti potevano far nascere tra loro e la sola cosa che non avrei mai rimpianto, era quella di aver avuto la possibilità di conoscerli e amarli, nonostante la loro vita fosse stata spezzata così violentemente a causa mia.
Troppi erano i ricordi di quella mattina primaverile, così pensai, che per una volta avrei potuto coprirmi i capelli ed il volto con uno scialle un po’ sdrucito e andare a fare due passi in quello sperduto paese.
Scesi il lungo sentiero che portava a valle, dove i prati incominciavano ad essere punteggiati di variopinte infiorescenze, le quali lottavano duramente per poter schiudersi di fronte a quella guerra quasi irreale nei suoi scopi.
Le mie gambe dolevano, ormai non erano più abituate a camminare così tanto, sempre ferme e immobili nella piccola cella, assegnatami come rifugio.
Ringraziavo ogni volta Dio nel dimostrarmi quante persone ancora così buone potessero esistere su quella terra, nonostante l’odio giungesse così copiosamente ovunque.
Ma quella mattina avevo bisogno di evadere un attimo da quelle monotone e grigie mura: un giretto per svagare un po’ la mente mi avrebbe fatto bene.
Giungendo piano piano verso il paese, lungo la strada principale trovai la vecchia animosità della gente, che nonostante il dolore e la disperazione del momento, riusciva ancora a mandare avanti la giornata, svolgendo le attività, che permettevano di guadagnare quel poco per sopravvivere.
Fra le tante bancarelle e negozi, che attraevano la mia curiosità, vidi una piccola e attrezzata sartoria e guardando minuziosamente la vetrina, decisi che dopo così tanto tempo di ostentata miseria e debito risparmio, potevo almeno permettermi di comprare qualche bottone per aggiustare al meglio quella misera giacchetta di lana, almeno sufficiente a coprirmi dal freddo durante quel lungo inverno. Ero giovane e come molte altre ragazze, mi sarebbe piaciuto cambiare spesso d’abito, ma nella condizione in cui mi trovavo, non potevo permettermelo, anche se pochi bottoni non mi avrebbero certo mandato in rovina.
Mi accorsi di avere in tasca qualche moneta sufficiente per il mio angusto acquisto, ed entrai nel negozio con aria disinvolta e abbastanza allegra.
Avvicinandomi al bancone i miei occhi analizzavano meravigliati i numerosi colori che mettevano in bella mostra graziosi nastri in seta, alcuni argentei ditali,piccole ma spesse rocche di filo per cucire, dolci e soffici batuffoli di lana, ma il mio sguardo trovò finalmente una piccola scatola che metteva in mostra minuscoli, ma brillanti bottoni dorati: proprio quelli che amavo tanto osservare da piccola, quando la mia cara madre adottiva mi aveva cucito uno stupendo maglioncino rosso, rifinito in ogni asola con un luminoso bottone d’oro.
Eh si, che bei tempi erano quelli. Adesso non sarebbero tornati più ed i ricordi ancora una volta occuparono malinconicamente la mente.
‘’Mi dica, cosa desidera?’’
Mi accorsi solo in quel preciso istante, che qualcuno mi stava parlando, così alzai lo sguardo e vidi gli occhi neri di un giovane ragazzo studiare il mio volto, mentre io timidamente arrossì.
‘’Oh, vorrei qualche bottone, di questi dorati,grazie.’’
‘’Bella scelta, signorina. Quanti ne volete?Guardi, che costano un po’ di più rispetto agli altri!
Riflettei un minuto e mi rimproverai di essere sempre attratta da qualcosa, che non potevo permettermi, ma poi mi dissi che tre sarebbero bastati per aggiustare la mia giacchetta.
‘’Me ne dia tre,spero di aver abbastanza soldi con me.’’
‘’Non si preoccupi, altrimenti può ripassare per pagarmi anche in un secondo momento.’’
‘’Oh, anche se siamo di questi tempi, mi sembra un tipo molto fiducioso, ma dovrei averne a sufficienza per pagare!’’
‘’Ha ragione, ma sono fatto così. In fondo non sono così attaccato al denaro e mi metto nei panni di chi sta come me o peggio di me, in questo periodo.’’
Rimasi molto affascinata dall’umanità di quel giovane e cercando nella mia tasca, vidi che mi mancavano pochi spiccioli per poter portami a casa quei tre bottoni. Mannaggia! Se avessi potuto sarei sprofondata sotto terra, ma non potevo, quindi con un’espressione umile e triste dissi:
‘’Mi dispiace,ma le monete che ho con me non sono abbastanza, purtroppo.’’
Il ragazzo ci pensò su un attimo e poi guardando se ci fosse nessun altro dentro al negozio oltre a me, mi propose:
‘’Per questa volta farò un’eccezione, tenga i suoi bottoni, non voglio nulla.’’
Io gli sorrisi, ma con aria dispiaciuta cercai di giustificarmi.
‘’Non posso accettare, non voglio approfittarmi della vostra gentilezza.’’
‘’Mi fareste davvero felice! E poi quando mi ricapita di vedere due occhi belli come i vostri sorridere a questa vita. Siete voi che mi fate un piacere.’’
Rimasi sorpresa da quelle parole così dolci e lusinghiere e risposi:
‘’Certo, avete ragione, sicuramente non ricapiterà tanto facilmente neanche a me di trovare una persona gentile e generosa, come voi.’’
Mi presi i tre bottoni, li misi nella tasca e sorridendo lo salutai cordialmente.
Il giovane dopo un attimo, però mi seguì uscendo dal negozio.
‘’Ci avete mica ripensato? Se volete rinuncio volentieri ai bottoni e tornerò quando potrò pagarli.’’
‘’Oh, non vi preoccupate, anche se sarebbe un modo per potervi rivedere. Vi ho seguito proprio per chiedervi, se potrò nuovamente godere della vostra presenza, ma non so come fare! Oggi siete stata come il timido raggio di questa primavera, che ha fatto breccia nel mio cielo.’’
‘’Così mi lusingate, davvero! Sono molto sorpresa nel sentirvi pronunciare simili parole, anche voi siete un ragazzo dai modi così raramente cordiali da incontrare.’’
‘’Bene, allora se ci siamo incontrati, sarà forse un segno del destino,non credi? Diamoci del tu, per favore.’’
‘’Va bene, io mi chiamo Alissa.’’
‘’Pietro. Se vuoi possiamo incontrarci nella piazzetta del paese più tardi e prenderci qualcosa da bere.’’
Ci pensai su e mi dissi che non potevo farmi vedere molto in giro, ma in fondo la vita, nonostante tutto era un meraviglioso dono da saper custodire e da vivere liberamente.
‘’Sì, volentieri. Ci vediamo dopo.’’
‘’A dopo, mia dolce primavera!’’
Quell’appuntamento fu davvero speciale, erano molto tempo, che non uscivo più e non avevo una così piacevole compagnia. Nonostante la mia giovane età e la mia grande voglia di vivere, dovevo nascondermi come una vergognosa prigioniera della vita, ma in quel momento il destino mi aveva regalato un nuovo sorriso: quel ragazzo pieno di attenzioni, allegria e poesia che mi aveva fatto capire quanto poteva essere ancora bello saper amare.
Mi fissava con i suoi occhi scuri e sembrava scrutare i miei pensieri più segreti, tirando fuori il meglio che in me era ancora rimasto.
Dopo quel breve incontro in piazzetta, ogni pomeriggio uscivo per un’oretta nell’attesa di vederlo. Lui mi aspettava con trepidazione e dopo l’orario lavorativo mi portava a fare delle belle passeggiate nei grandi campi aperti, che quelle montagne ci offrivano.
Ci raccontammo tante cose l’uno dell’altra e mi sorpresi di poter rivelare così tanto su di me ad un perfetto sconosciuto, ma il mio cuore aveva bisogno di un’occasione per fidarsi ancora di qualcuno.
Gli raccontai della mia vita, delle mie origini, per cui dovevo essere una dannata prigioniera in quel mondo, che si ostinava ad agire soltanto con la violenza; magari potevo non fidarmi di un uomo di cui non sapevo molto, ma dentro di me sentivo di potermi aprire senza limiti a quella meravigliosa persona.
Dopo qualche giorno anche lui stesso tirò fuori la sua storia ed io non potei fare altro che condividere le sue ragioni, anzi lo stimavo per le sue parole.
‘’Il tuo destino è stato crudele,cara Alissa, ma sei riuscita ad arrivare qui e Dio ti ha premiato proprio per questo. La tua innocenza deve vincere l’idea di un popolo senza umiltà e dignità. Anch’io mi batto per usurpare questa terra dalle incivili barbarie dei fascisti, ma ogni volta rischio di perdere il senso di un’esistenza, che forse non ha più speranze.’’
‘’Cosa vorresti dire?’’. Pietro mi prese la mano e mi guardo dritto negli occhi, dicendo:
‘’Non posso mentire né a te né a me stesso e devo in qualche modo sfogare a qualcuno i miei tormenti; continuo a lavorare nel negozio, che mi hanno lasciato i miei poveri genitori, purtroppo uccisi dalla forza della dittatura. Mi sono salvato grazie all’aiuto di un amico, che anche adesso sostiene insieme a me le spese per il negozio. Vedi, come te, sono inseguito a vita da questo assurdo regime: tu per le tue origini e anch’io sono in serio pericolo, visto che faccio parte di un gruppo partigiano.
‘’Allora anche tu rischi ogni giorno la vita per il tuo ideale!
‘’Già, ti sembrerà stupido, perché forse penserai: – ‘Tu che potresti vivere più tranquillo, vai incontro al costante pericolo della morte, soltanto per un’idea, che forse non metterà mai le sue radici’.- Posso dirti che hai ragione, ma io e la mia famiglia abbiamo sempre creduto che nessuno può toglierci ciò, che Dio ci ha dato.’’
‘’Posso comprendere, ma vedi io non posso cancellare le mie origini, sono parte di me, non posso rinnegarle, ma a volte arrivo a pensare a quanto io sia stata sfortunata ad avere un padre ebreo. So che è ignobile da dichiarare, ma la continua corsa alla sopravvivenza e gli stenti, in cui vivo, mi fanno pensare a quanto siamo stati dannati ad appartenere ad una razza ritenuta troppo poco dignitosa per vivere.’’
‘’Ma tu, non devi parlare così. Sono sicura che la provvidenza ti aiuterà, voi ebrei non avete nessuna colpa di essere stati creati, ma il vero peccato è quello che stanno compiendo quegli assassini fascisti al fianco di Hitler!’’
‘’Lo so, che non abbiamo colpa, ma darei tutto per poter fare in modo che questo orrore finisca il prima possibile! Tu però, devi giurarmi che farai il possibile per non metterti nei guai. La vita è preziosa e non vale sprecarla per uno stupido ideale. Giuramelo, Pietro.’’
‘’Adesso che ti ho incontrato, lo giurerei volentieri, ma devi sapere, che ormai ci sono dentro fino al collo! Per adesso sono sempre riuscito bene a nascondermi, ma a volte può succedere che la gente spaventata e intimata dalla guerra possa fare qualche assurda spiata. Comunque, non posso abbandonare ciò in cui credo fermamente. Vedi, ti ho regalato questi tre bottoni, perché tu possa ricordarti di me, comunque vada. Per me questi tre piccoli puntini dorati sono ciò che Dio ci ha regalato di più prezioso: la libertà di poter vivere al meglio e come crediamo la nostra vita, poi confidare nella speranza che la fede ci possa donare un mondo migliore capace di poter rinascere dagli errori compiuti ed infine l’amore, il sentimento, con cui ho sempre portato avanti le mie idee e che mi ha fatto giungere fino a te, ripagandomi meravigliosamente.’’
Guardai quei piccoli bottoni sulla giacchetta e rimasi davvero ammirata dalla splendida umanità di quel giovane uomo, sentii le lacrime affondare sulle cime degli occhi e lo abbracciai forte a me, ringraziando il Signore di avermi dato così tanto in quel poco lasso di tempo.
Lui mi fissò e mi disse in un sussurro:
‘’So, che è presto per dirlo,ma ti amo. Sei la cosa più meravigliosa che mi sia capitata in questa guerra, io l’ho combattuta con l’amore e la mia vincita, comunque vada, sarai tu.’’
‘’Oh, Pietro. Ti amo, anch’io. Ti conosco da poco, ma sei già così tanto per me.’’
Quel giorno ci lasciammo così con quell’atmosfera romantica, che non potevamo sapere quanto potesse durare, ma in quella vita dovevamo prendere le gocce preziose, che gli istanti ci regalavano.
Furono settimane di sguardi dolci, assennate e profonde parole, in cui ci rivelammo quanto eravamo importanti l’uno per l’altra.
Ma quella guerra che ci aveva riservato per quel breve periodo una piccola favola, non riuscì ancora per molto a farci sorridere e quel poco che mi aveva dato, mi venne così tolto in pochi attimi.
Nella piazzetta di un pomeriggio assolato alcune crudeli guardie fasciste catturarono una banda di uomini ed io che mi trovavo a pochi metri di distanza, aspettando che Pietro uscisse dal lavoro, mi accorsi con estremo orrore, che la vetrina del suo negozio era stata ridotta in frantumi,poi con una morsa al petto fra gli occhi di quegli sconosciuti riconobbi quelli scuri e familiari di un uomo, che in così poco tempo mi aveva dato anima e cuore. Forse era stata una stupida spiata a farlo catturare, ma in quel momento non c’era tempo per rimpianti, ripensamenti o banali parole di riflessione. Era quello sguardo così triste, ma fiero che in lontananza si era accorto della mia presenza e che si dimenava per poter sfuggire anche all’ultimo secondo da un destino, il quale ormai sapeva da tempo fosse scritto per lui.
Io fra le lacrime lo chiamai invano e lui voltandosi con quei suoi occhi infinitamente grandi, trovò la forza di sorridere e urlarmi disperatamente:
‘’Ricordati ciò che ti ho detto e lotta sempre per ciò in cui credi. Io l’ho fatto e ringrazio il destino che mi ha regalato te, anche se per così poco tempo. Ti amo, addio.’’
Corsi fra le lacrime per raggiungerlo e stringergli per un’ultima volta la mano, mentre lui stesso e le guardie mi facevano cenno di allontanarmi.
Gli gridai con tutto il cuore:
‘’Ti amo anch’io, non ti dimenticherò mai.’’
Quelle furono le ultime parole che avrei potuto dirgli, mentre il suo destino si compiva, restando indelebile nel mio cuore.
Adesso sono qui che riscrivendo nel mio diario il mio primo ed unico amore, ancora mi commuovo, perché Pietro è sempre rimasto dentro di me ed ancora oggi, nonostante il tempo sia trascorso, è sempre vivo nella mia mente il suo dolce ricordo.
I dolori che la vita mi aveva dato erano già stati troppi, ma da quel giorno la vera Alissa scomparve per sempre ed il senso della mia vita non è stato più lo stesso. Un’unica cosa l’ho sempre riscontrata vera e su questo Pietro aveva ragione. Ho seguito il suo consiglio e soltanto vivendo attraverso la libertà, l’amore e la speranza rappresentate da quei tre piccoli bottoni dorati, che ancora porto con me, ho potuto vincere la mia guerra. Certo, lo so, io sono ancora qui su questa terra, perché Dio mi ha donato la sua misericordia, salvandomi, ma anche la presenza di Pietro non è mai scomparsa. Lui è sempre rimasto vicino a me con il suo immenso amore per la vita.
Francesca Ghiribelli.
Commovente, l'autrice si immedesima perfettamente nel personaggio della ragazzina, ancora capace di credere nel futuro, e nell'amore nonostante la cattiva sorte.
RispondiEliminabellissimo commento ti ringrazio molto per avermi letto ;)
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