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SINOSSI
Se Svolvær era un viaggio intimistico nelle albe della coscienza, L’ombra della Zelkova lo è delle notti dell’introspezione. Tutto si svolge sotto una sottile pioggia che accarezza il volto del lettore, una pioggia fatta di emozioni e sentimento, dove l’acqua, prima che diventi fiocco di neve, si trasforma in un microcosmo intimistico e riluttante a venire alla luce. Si accontenta di apparire in penombra, di diventare fumo leggero e odoroso di erbe aromatiche. Tutto è solo ed esclusivamente sensazione, nulla è certo nemmeno la certezza stessa. Un passo avanti nella scrittura di Michele Bussoni. Un libro impegnativo e denso, dove la ricercatezza del lessico si fonde con la modernità della scrittura.
CITAZIONE
L’alba tornava, tutt’altro che mattiniera, timida e leggera come un passero che si posa su un fiore azzurro di lupino artico.
… Io sento di non avere un’anima, per questo voglio provare a riempirmi con quella degli altri, con la loro energia. Prendo pezzi di loro e me li metto addosso… li cucio sotto la pelle… ma dura poco, troppo poco. Piano piano svanisce tutto e mi ritrovo ancora vuoto, perso. Non sono capace di trattenere nulla, come non sono stato capace di trattenere i brandelli della mia anima strappati via da bambino. Questi pezzi sono come quei fiori di ghiaccio, sai? Svaniscono al primo raggio di sole, vedi? E non rimane più nulla…
RECENSIONE
Quando ho letto il primo libro dell’autore è stata una fresca lettura in mezzo ai ghiacci visto che era estate, mentre questo nuovo secondo romanzo appena uscito cade proprio bene ed è perfetto da leggere durante l’inverno. Già, una tazza di cioccolata calda davanti al camino e le pagine si spalancano come un sipario sul paesaggio della Scandinavia. Ancora questa scelta di ambientare il romanzo nel cuore dei ghiacci. Stavolta troviamo racconti diversi, ma collegati fra loro, capitoli dedicati singolarmente a personaggio dopo personaggio, che infine incontrano le altre storie che sembravano fini a sé stesse, per poi invece unire la loro anima esistenziale nella trama di un libro riflessivo e toccante. Si inizia dalle isole Svalbard, ultimo avamposto civilizzato prima del Polo Nord, dove troviamo Ale, fotografo che immortala la natura, figlio di madre casalinga e padre pescatore. Già da questo primo personaggio si evince come in questo secondo volume ci sia come sottofondo l’introspezione della notte, il volersi fare le domande quando cala il buio. Ricorda anche i cantori di un tempo tra la poetica decadentista e il poeta delle piccole cose, ma anche una sorta di panismo che ricorda il testo dannunziano La pioggia nel pineto. Bussoni unisce alla narrazione qualcosa di unico che viene dal cuore di scrittore per giungere commovente ed emozionante all’anima del lettore.
Ale unisce i suoi stati d’animo di riflessione sulla figura della madre e su risvolti familiari alla simbiosi con la natura circostante, si sofferma sulla flora e sulla fauna facendo diventare questo romanzo una sorta di libro narrativo contemporaneo-documentario. Chi legge mentre si gusta una storia fatta di tante trame umane riesce a vivere anche un docu-film vero e proprio sulla Scandinavia, per quanto siano curati animali e piante, tipici di tale luogo (tra cui il meraviglioso incontro con l’orso bianco). Dall’altra c’è Kristiana, la ragazza di Ale, che lui lascia andare preso dai tanti problemi personali e della sua famiglia. Il suo percorso esistenziale, però, poi incontrerà il destino degli altri personaggi della storia, a lui sconosciuti. Troviamo Jorgen, che lavora come receptionist in un hotel e ha gravi problematiche relative ad un’identità psichiatrica instabile, la moglie lo ha cacciato di casa e ha un altro, mentre il figlio Morten lo vede pochissimo, proprio a causa della moglie Anja, che non vuole che il ragazzo abbia rapporto con il padre. Jorgen ha un datore di lavoro incombente e conosce la collega Beatrice (che si prende cura della madre gravemente malata), con cui ha un rapporto fatto di alti e bassi. Anja è una donna che dall’altra si sente in colpa per aver trascurato in parte il figlio nel momento in cui si è presa cura della malattia del marito Jorgen, invece Morten, il ragazzo se la prende molto spesso con lei, perché vuole vedere il padre dando ragione a Jorgen.
Figura particolare è l’uomo che Jorgen incontra: si parla di una personalità d’artista, colui che suona la tromba e che porta con sé come animale domestico un gabbiano ferito. Un uomo che si perde tra i ghiacci, fuggito dalla clinica in cui è ricoverato per Alzheimer, una malattia che gli fa scordare il presente, ma che lo fa rivivere nel passato.
Mano a mano che il lettore andrà avanti con la narrazione, si ritroverà la spiegazione della condizione psicolabile di Jorgen a causa dei traumi vissuti per colpa del padre violento. Più avanti la figura di Lars Baek, avvocato ricoverato in ospedale che si ricongiungerà alla fine alle altre storie presenti nel volume. Tutto avrà un collegamento attraverso trame e sotto-trame e cadrà anche in un risvolto drammatico esistenziale e noir. A metà del romanzo ritroveremo il gesto estremo di Ale a causa del dolore familiare, che dovrà ricontrare e riscoprire il senso della vita per capire l’importanza di Kristiana nella sua esistenza, ma anche di se stesso. Jorgen avrà un confronto con il figlio, in cui gli chiederà di non dimenticarsi mai della figura di suo padre, di non dimenticarsi mai di lui, visto ciò che Jorgen ha passato invece di persona nella sua infanzia. Jorgen sente di non avere un’anima e la cerca negli altri, ma soprattutto racconta al figlio come è riuscito a sentirsi per la prima volta veramente se stesso insieme all’uomo sconosciuto, l’artista malato di Alzheimer. Colui che senza volerlo gli insegna che nella vita bisogna sempre ricominciare. Un romanzo che fa riflettere e nonostante il cuore dei ghiacci che cela, alla fine scalda l’anima meglio di un raggio di sole, perché solo nella profondità del dolore della vita si può trovare il vero senso dell’esistenza per rinascere sempre e comunque.
Poesia dedicata al libro
Le grida del silenzio
Mura che si stagliano alte nel cielo nero
e si spargono di rosse facce tra gli sguardi del sole
sono le grida del silenzio
che il mio amore ha qui dentro.
Nastri di fuggente danza
inquietano fasci di fredda lontananza
e l’ordine delle lacrime
si ferma agli angoli dell’anima
per farne una serenata:
sono le grida del silenzio
che ti amano in questo tormento.
Sconfinati spazi senza fiato
incrociano vie che non hanno significato:
sono le grida del silenzio
che vivono negli occhi
del mio sentimento.
FRANCESCA
GHIRIBELLI
L’AUTORE
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